Essere leader

Essere leader, la differenza tra leader e capo

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Cosa significa essere un leader? C’è una differenza tra “leader” e “capo” molto profonda, si tratta di due figure con caratteristiche ben distinte.

Nelson Mandela, tra i leader più famosi, disse una volta: “Il capo incute paura, il leader ispira entusiasmo”.


La parola “leader” deriva dal verbo inglese “to lead”, che sta letteralmente per “guidare”. Il capo impartisce ordini, mentre il leader guida un gruppo, pone degli obiettivi condivisi e prende decisioni per raggiungerli insieme. È come il capitano di una squadra: non gioca da solo, ma ha uno sguardo ampio, che va ben oltre il proprio ruolo.


In Italia questo è un concetto che fa fatica ad entrare nella cultura del lavoro e delle relazioni. Eppure abbiamo avuto leader illuminati e lungimiranti come Adriano Olivetti, o come “Giovannino” Agnelli, entrambi morti prematuramente. C’era in loro la scintilla dell’innovazione e il talento assoluto per progettare ciò che non c’è, ma soprattutto erano ottimi ascoltatori. Ascoltavano i dipendenti, ne individuavano le esigenze e cercavano di costruire luoghi e brand di cui ognuno si sentisse parte. Erano alieni che parlavano il linguaggio attuale 70 anni fa, fatto che lascia pensare a come avrebbero potuto cambiare l’Italia, rendendola leader, appunto, del mondo.


Quindi leader non è colui che arriva per primo e va via per ultimo. Certo, in un qualche modo, “si sporca le mani”, perché prende parte attivamente al progetto, ma è soprattutto colui che riesce a instaurare un rapporto di fiducia con il team, di stima e non di terrore, di collaborazione, ma non di confusione di ruoli.

Un po’ come su di una canoa, ognuno ha il suo ruolo, c’è chi rema e chi segna il tempo. Un leader è esattamente quello che dà il ritmo al gruppo.


Tuttavia è necessario distinguerlo dal “motivatore”, perché non basta incoraggiare una persona a compiere un’azione, è fondamentale comprenderla, individuarne le qualità distintive, esaltarne i pregi e offrire formazione dove siano presenti lacune.

Il leader esalta il singolo all’interno di uno staff, propone il “noi” dando fiducia a ogni elemento.


Questa è forse l’operazione complicata per un leader, perché sposta l’intervento dal lato più pratico a quello emotivo, al riuscire a individuare anche ciò che non viene espresso a parole, mediante il linguaggio non verbale. Con la massima empatia si riesce a coinvolgere la persona e così è il membro del gruppo che si sente pronto, bene inserito e sceglie il “noi”.

Tenere sempre presenti le differenze, perché “Marco” e “Simona” sono due spiriti differenti, ma riuscire a far scegliere ad entrambi il “noi”.


Diventare leader è tutt’altro che semplice, ma è un percorso accessibile per tutti. Ci sono individui che nascono con un carisma talmente forte da attrarre e ispirare le altre persone. Penso a Enrico V, re di Inghilterra e pretendente al trono di Francia. Per conquistare il regno francese salpò dalla Manica e invase i “cugini” con un esercito forte, ma con davanti una missione impossibile. Le sorti della guerra si decisero ad Agincourt, dove gli ormai soli mille uomini inglesi, stanchi per una campagna vittoriosa che li aveva stremati, dovevano affrontare diecimila soldati francesi, freschi e pronti a travolgere gli invasori.

Si racconta, e Shakespeare lo ha trasposto in una bellissima composizione teatrale, che Enrico V passò la vigilia della battaglia ad interpellare, mascherato e sotto falso nome, le sue truppe, uno ad uno. La mattina, con il sorriso, se vogliamo credere del tutto a Shakespeare, alle domande di alcuni che si lamentavano di essere troppo pochi, rispose così:


Chi è mai che desidera questo? Mio cugino Westmoreland? No, mio caro cugino. Se è destino che si muoia, siamo già in numero più che sufficiente; e se viviamo, meno siamo e più grande sarà la nostra parte di gloria.


In nome di Dio, ti prego, non desiderare un solo uomo di più. Anzi, fai pure proclamare a tutto l’esercito che chi non si sente l’animo di battersi oggi, se ne vada a casa: gli daremo il lasciapassare e gli metteremo anche in borsa i denari per il viaggio.

Non vorremmo morire in compagnia di alcuno che temesse di esserci compagno nella morte.


Oggi è la festa dei Santi Crispino e Crispiano; colui che sopravvivrà quest’oggi e tornerà a casa, si leverà sulle punte sentendo nominare questo giorno, e si farà più alto, al nome di Crispiano.

Chi vivrà questa giornata e arriverà alla vecchiaia, ogni anno alla vigilia festeggerà dicendo: “Domani è San Crispino”; poi farà vedere a tutti le sue cicatrici, e dirà: “Queste ferite le ho ricevute il giorno di San Crispino”. Da vecchi si dimentica, e come gli altri, egli dimenticherà tutto il resto, ma ricorderà con grande fierezza le gesta di quel giorno. Allora i nostri nomi, a lui familiari come parole domestiche – Enrico il re, Bedford ed Exeter, Warwick e Talbot, Salisbury e Gloucester – saranno nei suoi brindisi rammentati e rivivranno questa storia. Ogni brav’uomo racconterà al figlio, e il giorno di Crispino e Crispiano non passerà mai, da quest’oggi, fino alla fine del mondo, senza che noi in esso non saremo menzionati; noi pochi.


Noi felici, pochi.

Noi manipolo di fratelli: poiché chi oggi verserà il suo sangue con me sarà mio fratello, e per quanto umile la sua condizione, sarà da questo giorno elevata, e tanti gentiluomini ora a letto in patria si sentiranno maledetti per non essersi trovati oggi qui, e menomati nella loro virilità sentendo parlare chi ha combattuto con noi questo giorno di San Crispino!”


La storia ci racconta che Enrico V vinse la battaglia, nonostante un rapporto di un uomo a dieci e l’impresa consacrò quel re e quell’esercito a leggenda. Cosa se non un carisma incredibile potrebbe far scegliere a un uomo di battersi e versare il proprio sangue per un re?


Enrico V, o Steve Jobs se preferisci, ci si nasce. Diventare carismatici è difficile, ma è ben possibile diventare il massimo di se stessi, un leader migliore.

Come?


Solitamente per rendere più veloce ed efficace il cambiamento, ci si rivolge a un coach che lavora prima con colui che deve crescere come leader e dopo con il team. Attraverso la pnl, tecniche di ascolto e strategie specifiche si insegna ad analizzare un team in base alle risposte che le persone danno agli input, soppesando le dinamiche presenti.

Ma è un percorso che puoi provare ad intraprendere anche da solo, almeno all’inizio, facendo tesoro di quanto scritto fin qui. Prova a rileggere dall’inizio e comincia la tua strada per essere leader di te stesso e del tuo gruppo.









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